Un’esperienza di scrittura in cui la storia non viene guidata, ma ascoltata
Quando si inizia a scrivere un romanzo, si pensa spesso di essere noi a guidare la storia.
A scegliere i passi, a decidere il ritmo, a condurre i personaggi verso una direzione precisa.
Poi, a volte, accade qualcosa di inatteso.
La storia smette di farsi condurre e comincia a parlare.
E i personaggi, invece di essere accompagnati, iniziano a prenderci per mano.
Quando ti accorgi che non stai più guidando tu
All’inizio scrivere sembra un atto di controllo.
Si costruisce una trama, si immaginano scene, si decide dove portare i personaggi.
Anch’io pensavo che sarebbe stato così.
Poi, pagina dopo pagina, ho iniziato a sentire una sensazione nuova:
non ero più io a entrare nella storia, era la storia che faceva entrare me.
I personaggi chiedevano attenzione.
Mi costringevano a fermarmi, a tornare indietro, a guardare meglio certi passaggi.
Non accettavano scorciatoie.
Era qualcosa che avevo vissuto tante volte da lettore, ma che non avevo mai immaginato potesse accadere mentre scrivevo.
Scrivere come atto di ascolto
In quel momento ho capito che scrivere non è solo costruire.
È soprattutto ascoltare.
Quando una storia è autentica, ha una sua voce.
Non urla, ma insiste.
Non impone, ma chiede rispetto.
Lo scrittore, allora, non è più colui che domina la narrazione, ma chi resta fedele a ciò che sta emergendo.
Diventa una sorta di custode: accompagna, protegge, non forza.
Ed è forse qui che la scrittura diventa qualcosa di più profondo di un semplice esercizio creativo.
Una scoperta che cambia anche chi scrive
Scrivendo questo romanzo mi sono accorto che i personaggi non stavano solo raccontando una storia.
Stavano parlando anche a me.
Mi portavano dentro domande, fragilità, silenzi che pensavo di conoscere già.
E invece chiedevano di essere guardati di nuovo, con più verità.
È una delle esperienze più belle che mi sia capitato di vivere scrivendo:
scoprire che la scrittura può trasformare prima ancora di essere letta.
A chi sente il desiderio di scrivere
Scrivo queste righe anche pensando a chi sente dentro di sé il desiderio di raccontare una storia, ma ha paura di non essere all’altezza.
Non serve sapere tutto prima.
Non serve avere tutto chiaro.
Se una storia chiede di nascere, è perché ha già iniziato il suo cammino.
Scrivere è avere il coraggio di fidarsi e mettersi in ascolto.
Quando un libro nasce davvero
Il Disabile di Dio è nato così.
Non come un progetto da eseguire, ma come un incontro.
Prima ha parlato a me.
Poi, lentamente, ha iniziato a parlare ad altri.
Ed è forse questo il dono più grande della scrittura:
scoprire che una storia, quando è vera, sa trovare da sola la strada verso il cuore.

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