Definisci bambino

In questi giorni sui social e nei dibattiti pubblici risuona una frase che lascia senza parole: «Definisci bambino». Un interrogativo, nato durante una trasmissione televisiva, che molti hanno percepito come un colpo al cuore: può davvero esistere un momento in cui si mette in discussione chi sia o non sia un bambino?Questa domanda, volutamente o meno, evoca altre parole scolpite nella nostra memoria collettiva: «Se questo è un uomo», il titolo del libro di Primo Levi. Allora, come oggi, al centro c’è la stessa questione: cosa significa riconoscere l’altro come essere umano. Levi ci racconta l’orrore dei lager e la disumanizzazione sistematica; la frase odierna ci interroga su come, anche nel presente, il linguaggio possa trasformarsi in arma e negare l’evidenza dell’umanità dell’altro.Le parole non sono neutre. Nominarci, definirci, riconoscerci è il primo passo della dignità. Quando smettiamo di vedere il volto di un uomo, di una donna, di un bambino, allora ogni violenza diventa possibile. È per questo che l’educazione alla pace e al rispetto non è solo un valore ma una difesa concreta della vita.Come associazione che lavora con i bambini e con le persone più fragili, sentiamo forte questa responsabilità. Ogni giorno incontriamo occhi, storie, mani piccole che chiedono attenzione e cura. Per noi non serve definire “bambino”: bambino è colui che cresce e sogna, che gioca e impara, che merita protezione, ovunque sia nato.Ritornare alle parole di Levi ci aiuta a non assuefarci. Ogni volta che il linguaggio deumanizza, la coscienza deve reagire. Perché la pace non nasce solo da trattati e diplomazie, ma dal riconoscere, uno per uno, gli esseri umani come nostri fratelli e sorelle.


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